venerdì, gennaio 08, 2010

Come farsi ammazzare in ospedale

Va bè, il destino si accanisce su di me e mi invita, mediante coincidenze e segni vari, a raccontare questa cosa. E io la racconto. Tema generale: malasanità, argomento di cui proprio in questi giorni parlano tanto i mass-media, sostenendo in linea di massima la tesi che la sanità italiana non è cattiva ma esistono poche mele marce che ovviamente andrebbero eliminate.

Io su questa tesi ho molti dubbi, se non altro perché in ogni occasione in cui mi è capitato di avere a che fare con gli ospedali negli ultimi due anni, ci fosse stata una volta in cui le cose sono filate lisce. L'ultima riguarda un parente di mio marito, un signore sulla cinquantina che, per rispetto della privacy, chiamerò con il nome fittizio di Pasquale.

Allora, succede che, tre o quattro settimane fa, Pasquale ha un incidente catastrofico cadendo col motorino, investito da un ragazzo che viaggiava anch'esso in motorino. Pasquale cade, si rugola per terra, si fa un sacco di abrasioni e si frattura pure qualche osso (e meno male che aveva il casco). Quando riceve i primi soccorsi, visto che è tutto uno scortico, gli somministrano della penicillina... e lui comincia a sentirsi mancare il fiato e a dare gran brutti segni. Insomma scoprono che Pasquale è gravemente allergico alla penicillina, e poco ci manca che lo spediscano all'altro mondo.

In qualche modo lo recuperano, dopodiché ovviamente lo ricoverano in ospedale, lo bendano, lo ingessano, ecc. Gli fanno anche una serie di esami e lastre varie, per verificare se ci sono lesioni interne. Di lesioni interne non ne trovano, ma grazie a quelle lastre scoprono che ha un aneurisma all'aorta (ormai così gonfia che rischia di scoppiare) e una valvola cardiaca malfunzionante; roba che stava rischiando la pelle senza saperlo.

Ringraziando a questo punto l'incidente che ha permesso di scoprire il pericolo, lo portano in non so quale ospedale di Bologna dove viene operato: gli sistemano l'aorta e inseriscono una sorta di valvola artificiale che fa le veci di quella "malata".

Lo riportano a Rimini, ma la convalescenza non va come previsto e Pasquale, di giorno in giorno, non migliora. Viene fuori che certi valori non sono quelli che dovrebbero, sicché c'è addirittura l'ipotesi che la valvola artificiale non funzioni a dovere e che si debba tornare a Bologna e rifare tutto da capo. Ovviamente, prima di procedere con una cosa tanto invasiva e impegnativa, predispongono una batteria di esami più approfonditi, uno dei quali necessita di lunghi preparativi, tra cui stare a digiuno tre giorni.

Insomma Pasquale fa i suoi tre giorni di digiuno, si fa somministrare farmaci e flebo di ogni tipo, e finalmente arriva il giorno del super-esame. Un'infermiera si presenta nella stanza di buon ora e procede con una serie di preparativi. Avete presente, no? "Beva questo", "inghiotta quest'altro", "adesso stia fermo che le attacco la flebo", ecc ecc. A un certo punto, Pasquale inizia a sentirsi male, gli manca l'aria, respira a fatica. La moglie chiede: "Scusi, ma cos'è quella roba che gli ha dato poco fa?" E l'infermiera risponde, serafica: "Penicillina".

Morale della storia: la moglie quasi ammazza l'infermiera, Pasquale quasi ci rimette le penne; il super-esame va chiaramente a monte (tre giorni di digiuno e schifezze varie buttati alle ortiche), lo portano di corsa in rianimazione, gli salvano la pelle per il rotto della cuffia, e adesso è da tre giorni in terapia intensiva.

Naturalmente, la famiglia di Pasquale è concentrata sul fatto che lui sta male e che da questa odissea non si riesce a venire fuori, quindi mettersi a fare denunce o cercare responsabili non è una loro priorità, sono tutti in ben altre faccende affaccendati. Passando dal particolare al generale, la mia idea è che il personale medico responsabile di errori marchiani come questo se la cavi più spesso di quanto non si venga a sapere, perché quando sei lì dentro tutto quello che vuoi è uscire e riprendere a farti la tua vita (anche se ovviamente non ti dimenticherai mai i casini che ti hanno combinato) e quindi alla fine, sebbene con dubbi e rimpianti, finisci per passarci sopra e lasciar stare.

Nel caso di Pasquale e della penicillina, peraltro, non credo che ci vorrebbe una laurea per individuare chi è il cretino che deve assumersi la responsabilità dell'erroruccio che poteva costare la pelle a Pasquale. O è l'infermiera che ha somministrato la penicillina (se nel protocollo dell'ospedale è previsto che sia l'infermiera a controllare che il paziente non sia allergico); o è il medico che ha predisposto la somministrazione della penicillina (se il controllo della cartella medica toccava a lui); o sono quelli che hanno soccorso Pasquale dopo l'incidente e non hanno scritto nella sua cartella medica che è allergico alla penicillina e che già ha rischiato grosso. Non è che si debba andare a cercare tanto lontano, o mi sbaglio?

Altri miei amici e conoscenti hanno recentemente avuto brutte esperienze, magari non drammatiche come queste (a volte sì!) ma comunque significative. Anche i miei giorni nel reparto di ostetricia, quando è nata la mia bambina, sono stati puntellati da una serie di inefficienze e idiozie che uno si chiede se certi dottori e infermieri li scelgano a sorte fra dei coltivatori di patate guatemaltechi. E se nel giro di un paio d'anni io sono venuta a conoscenza di sei o sette esempi di malasanità grave (non gravissima, non provocante la morte di nessuno, ma comunque grave), vuol dire che qui non ci sono "poche mele marce", c'è tutto un frutteto che è andato a puttane.

Concludo con un invito, alle mie conoscenti che hanno attraversato la loro parte di brutte esperienze (vuoi sulla loro pelle, vuoi su quella di amici o parenti), di scrivere come è andata, e se non hanno un blog possono approfittare del mio. In fondo è un modo per raccogliere un po' di testimonianze che diano l'idea della quantità di casi che possono verificarsi. Il tribunale dei diritti del malato raccoglie moltissime segnalazioni, ma io resto convinta che sia una percentuale non elevata, rispetto alla totalità dei casi. Capisco che manchi la voglia di impelagarsi in cause e denunce (io stessa non ho avuto nessuna voglia di mettere alle corde quella rintronata di ostetrica che ho avuto la disgrazia di incontrare: volevo solo andare a casa, riprendermi dal cesareo e godermi la mia bambina), ma almeno un contributo a identificare la dimensione del fenomeno possiamo darla. Se vi va...

2 commenti:

Giangidoe ha detto...

Questo aneddoto che riporti è davvero scandaloso. E purtroppo, ahimè, anche io (assieme a molti miei amici e parenti) ho assistito a situazioni simili, dove l'incompetenza, l'intempestività e il pressappochismo sono costate moltissimo. E parlo, purtroppo, più per esperienza diretta che indiretta.

Quello che credo si voglia dire sulla presuntà "bontà" della sanità italiana (che persino Moore aveva inserito nella top ten mondiale) è solo un apprezzamento "sistemico". Sulla sua reale efficienza, credo che obiettivamente sarebbe impossibile essere altrettanto generosi.
Sono curioso di vedere come si evolverà la situazione negli USA, con la recente riforma.
Magari qualcosa cambierà davvero.

Swan ha detto...

Ciao Giangi! Forse hai ragione sul criterio di valutazione... quanto alla riforma negli USA, temo che si limiti ad ampliare la base di utenza che può usufruire dell'assistenza sanitaria; se questo poi possa influire sulla qualità dell'assistenza stessa non saprei, ma nel caso paventerei un livellamento verso il basso...