sabato, giugno 16, 2007

E venne il Re

Ho trascorso due giornate un po' pesantucce in Val Trebbia (dintorni di Piacenza), dove ha le sue origini il ramo materno della mia famiglia, e dove pertanto si è svolto il funerale di mia nonna, per l'esattezza in un paesottolo sperduto chiamato Scabiazza (un nome un programma), arroccato su un monticelllo.
Sono partita (insieme a mia madre) con l'idea che sarebbero stati due giorni un po' deprimenti, ma che in sostanza, per le ragioni che ho espresso nel post precedente, non mi avrebbero toccata più di tanto.

Un cavolo!

Mi sono ritrovata coi nervi a fior di pelle e tanta, ma tanta irritazione. Io già coi riti ci vado poco d'accordo; con quelli funebri, men che meno. Solitamente, tendo ad assistere tenendomi un pochino da parte, con la massima discrezione, il che secondo me è anche un modo per manifestare rispetto per chi sta soffrendo.
Tendo anche a evitare tante chiacchiere e a manifestare il mio affetto e la mia vicinanza, alle persone più coinvolte, semplicemente con un tocco della mano o un abbraccio.
Cerco anche di scappare da veglie, rosari e quant'altro, un po' perché non ci credo da un punto di vista religioso, un po' perché trovo che spesso si tirino dietro una dose di formalità che, in momenti del genere, andrebbe dimenticata a favore dell'onestà più pura.
Ma, in questo caso, non solo non mi era possibile starmene per conto mio, bensì ho anche dovuto adattarmi ai riti locali che sono un po' più, come dire, incisivi rispetto a quelli a cui sono abituata.

Anzitutto: all'interno della camera ardente, allestita all'ospedale di Bobbio (dove la nonna era stata ricoverata quando si è sentita male), bara scoperchiata fino all'ultimo momento. Cosa per me totalmente inaspettata: vedere all'improvviso 'sta cassa da morto aperta, con il corpo di mia nonna dentro, di quel colore livido/giallastro/opaco, coperto di cerone, non è stata un'esperienza che ripeterei. Dopo la sorpresa iniziale, ci ho messo parecchie ore prima di avere il coraggio di guardarla (e ancora mi chiedo perché l'ho voluto fare).
Poi: obbligo di tenere la camera ardente aperta in continuazione, tranne qualche ora la notte, e guai al mondo se fosse rimasta senza nessuno. Come se la nonna avesse avuto ancora interesse che ci fosse gente intorno alla bara e al suo corpo. Cose che per me non hanno senso, ma mia zia dava evidentemente per scontato che dovessero funzionare così (il che glielo si perdona, per carità, considerate le circostanze: dico solo che a me, 'ste robe fanno salire la pressione).
Rosario serale: anche quello dentro la camera ardente, sempre in presenza di 'sta bara aperta, e poi altre ore di veglia. Il mattino dopo, ancora veglia, poi benedizione e infine trasporto alla chiesa di Scabiazza, per funerale e tumulazione.

Di tutta la parte in camera ardente, io ho sopportato qualche quarto d'ora sparso, preferendo starmene subito fuori, o nel giardinetto dall'altra parte della strada. La brezza della sera, che da quelle parti è sempre molto piacevole, il vociare lontano dei ragazzini che andavano in giro per le strade (proprio come facevamo mia cugina ed io quando avevamo la loro età e passavamo lì le vacanze), il panorama della Val Trebbia con le sue montagne, mi hanno messa in una disposizione d'animo molto più bendisposta alla riflessione e alla meditazione di quanto avrebbe fatto qualsiasi camera ardente.

Ho scovato inaspettate risorse di pazienza anche ricevendo saluti e condoglianze di persone che nemmeno mi conoscono, ma che si sentivano sempre e comunque in dovere di dire qualcosa a tutti i parenti, dando così il segnale di partenza alla sagra della banalità, da "almeno non ha sofferto", a "certo che novantasei anni sono tanti". Ovviamente non è mancata la gara a chi ha i parenti o genitori più anziani e più malati, e non ci si poteva esimere da commenti sul tempo ("fa un bel caldo, eh?") e sul clima ("non esiste più la mezza stagione"). Ennesima dimostrazione del mio teorema secondo cui il mondo ha dimenticato il valore del silenzio e della semplice presenza, dell'esserci, essere lì.

Eppure... eppure, al termine di una giornata durante la quale in ogni istante pensavo di voler andare via da quei luoghi che per tutta la vita ho amato pazzamente, probabilmente gli unici luoghi in cui sento di avere (forse) radici... ecco, improvvisamente la Val Trebbia si è riappropriata di me e del mio affetto.

Appena rientrata in casa dei miei zii, dopo il rosario serale e le successive ore di veglia, passo davanti alla finestra, spalancata per far entrare un po' d'aria fresca, e nel silenzio della notte sento un curioso brusio di sottofondo. Mi avvicino alla finestra, cercando di identificare il misterioso rumore, e improvvisamente eccolo, capisco cos'è.

E' il mormorio del Trebbia che scorre a fondovalle.

Annuso la brezza, con i profumi che si porta dietro. Guardo fuori, i profili delle montagne che si stagliano contro il cielo illuminato da qualche stella, i boschi che coprono i fianchi dei monti, il vecchio ponte di pietre con le sue arcate e le sue gobbe, e sotto di esso lui, il grande fiume, l'incontrastato Re della vallata.

E finalmente, per quei meravigliosi istanti in cui mi balza il cuore in gola e un paio di lacrime cercano di farsi strada (a fatica, beninteso - ho pur sempre un personaggio da mantenere), mi sento di nuovo a casa.

4 commenti:

Francy ha detto...

Ciao Valentina,le mie più sincere condoglianze...scusami il ritardo ma ho appena letto gli ultimi 2 post! un abbraccio,
Francy

Anonimo ha detto...

Cercando nuove strategie sul Re degli Scacchi capito per caso su questo blog e mi sproni a intervenire.
Molto bella la frase "il mondo ha dimenticato il valore del silenzio e della semplice presenza, dell'esserci, essere lì" che condivido.

Mi permetto di abbozzare una possibile interpretazione sul perchè c'è ancora chi si "ostina" a dir Rosari.
Quando ami una persona quante volte gli dici "ti amo"? Tante, suppongo, a ripetizione. Ma non ne basta una? Si, certo, ma senti lo stesso l’esigenza di ripeterlo infinite volte, ti amo, ti amo, ti amo… Ecco, per chi crede, l’infinita serie di Ave Maria è un atto di fede e un atto d’amore. E’ una necessità.
Ma quella giaculatoria, quel ritmo ipnotico son poi così normali? Pensa all’ossessiva ripetizione dell’Ooommm in chi fa yoga: un modo per concentrarsi ed entrare in un’altra dimensione del sé e dell’assoluto. Forse funziona in questo modo anche per chi dice, o meglio prega, il Rosario. Ma chi fa yoga è moderno, chi dice rosari è pedante e all’antica.

Ciascuno vive ed elabora i lutti a suo modo: bello il tuo post, davvero. Ma resta anche in ascolto degli altri modi di reagire a queste vicende: chi vuole a tutti i costi tenere fisso lo sguardo sulla bara aperta fino all’ultimo minuto, chi prega e basta, chi chiacchiera, chi parla in modo inopportuno del tempo. L’importante che ci sia il rispetto per il dolore. Son conti che prima o poi tutti dobbiamo fare.

Porta vivo il ricordo della nonna per come sei, vuoi, puoi.

Swan ha detto...

@ Francy:
mille grazie, ricambio l'abbraccio!

@ pr'66:
in effetti, la pazienza non è mai stata la mia miglior qualità... :-)
Detto questo, grazie mille per le tue parole: ci penserò su, con attenzione.

Pippo ha detto...

Tua nonna Rosa (Rosita), cio� mia zia, era una donna splendidia. Capisco ce ti abbiano potuto infastidire i nostri riti, ma sono gli stessi a cui anche tua nonna ha sempre partecipato. Ogni paese ha le sue usanze.