giovedì, novembre 09, 2006

Il libro che forse non leggerò mai

Nove anni da quando Lei se n'è andata.
Nove anni da quando ha deciso che non valeva più la pena. Che non serviva a nulla. Che non era amata. Che non aveva via d'uscita. Che era condannata.
Nove anni dal giorno in cui la stella più luminosa si è spenta e il mondo è diventato buio.
Nove anni dalla voce dell'amica comune che telefonò in lacrime, sapendo che io attendevo con il cuore in gola, implorando in cuor mio che non fosse troppo tardi, e disse soltanto: "Sono io. Non so come dirtelo... è successo il peggio".
Nove anni dalle tante telefonate consecutive a casa sua, dove ovviamente nessuno alzava mai il telefono ma entrava in funzione la segreteria e potevo ascoltare la sua voce. Ancora, e ancora, e ancora, e ancora, e ancora, e ancora...
Nove anni dalla caduta nel pozzo dell'orrore, dal quale è tanto difficile risalire.
Nove anni dall'irreparabile, dall'immutabile, dall'impotenza, dall'ineludibile condanna.

Nove anni eppure sembrano nove minuscoli istanti, nove scatti della lancetta dei secondi. Sembrano un pugno di momenti in cui tutto si affolla nella mente, i ricordi, i sorrisi, i conflitti, le attese, le sorprese.
Lei era un'insegnante e un'amica, e ancora provo meraviglia al pensiero di come questi due ruoli fossero così armonicamente compresenti nella stessa persona. Ha influito sulla mia vita in modo talmente forte che nulla di ciò che faccio ora sarebbe esistito senza di Lei. Ha temprato tanta parte di me con sapienza e con determinazione, portandomi per mano fino ai traguardi più belli e più importanti. Insegnandomi a dare il meglio, a puntare un'irraggiungibile perfezione. Sorridendo orgogliosa dei miei insignificanti successi, soffrendo insieme a me (forse più di me) per le piccole sconfitte.

Lei era ambiziosa e forte, sfiduciata e insicura. Era un universo di contraddizioni. Era energia, passione, un uragano in forma umana. Ed era la dolcezza quando meno te lo aspettavi. Era un orizzonte da abitare. Era la pacca sulla spalla quando ti vedeva abbattuta. Era la telefonata inaspettata dopo un mese in cui spariva dal mondo. Era la donna di cui mi sarei innamorata se fossi nata uomo. Era la confidenza talora imbarazzante, la presa di distanza che ti feriva, il pranzo veloce dopo una lezione, il rifiuto della gerarchia. Il trattarsi da pari a pari nonostante la differenza di età, di ideali e di rango. Era il conforto davanti alle difficoltà: fuoco d'inverno, acqua fresca d'estate, un sussurro contro il silenzio. E a volte il silenzio stesso, più assordante di mille parole, che non volevi sentire.

Lei che in tanti e tante avevano ferito, Lei che ogni volta si rialzava, Lei che si innamorava sempre dell'uomo sbagliato. Lei che vedeva sfuggire gli obiettivi più ambiti, schiacciati da una logica di nepotismi e pugnalate alla schiena. Lei che piano piano iniziò ad arrendersi, rinunciando alla fiducia e alla speranza. Lei che finì preda di un male sottile e silenzioso, che la avvolse senza che nessuno fosse riuscito a rendersene conto. Lei che nascose a tutti il suo dolore e il suo sconforto, Lei che iniziò a chiudersi in casa piangendo per ore e ore. Lei che un giorno mi aveva detto, scherzando, "ma sai che in vita mia non ho mai avuto nessun malanno grave, mai un osso rotto, mai stata in ospedale... andrà a finire che mi prenderò una malattia grossa tutta in una volta e morirò direttamente".

Lei che ci ingannò tutti quanti. Lei che partì per un altro paese con il cuore a pezzi e l'intento di rigenerarsi, lei che forse non si rese conto di quanto stava male, lei che credeva di farcela. Lei che mi salutò prima della sua partenza dicendomi "Ma cosa fai, piangi? Guarda che ci rivediamo presto!"... e invece cominciarono ad arrivare le notizie, le voci, le frasi riportate, le cose senza senso che andava dicendo. La sua convinzione di essere perseguitata dal diavolo in persona. La sicurezza che tutti la considerassero pazza, che nessuno capisse. E da questo lato dell'oceano, il timore che stesse effettivamente impazzendo, la certezza che la sua mente aveva ceduto, il terrore che commettesse qualche follia. Il tentativo di andare a prenderla, di salvarla, di arrivare prima che fosse troppo tardi.

Il fallimento di quel tentativo.

La polizia, le accuse, le voci, le falsità. L'autopsia. Il rimpatrio della salma. Burocrazie inumane. L'attesa infinita, il bisogno disperato di dare quell'ultimo saluto, di non vivere in quello stato di sospensione, di limbo insensato. Ma sapendo che, in un certo senso, non sarebbe mai finita. Tuttora non è finita. Nove anni, e i ricordi iniziano ad essere appena sopportabili. La disperazione, quotidianamente scacciata grazie a una vita stracolma di impegni, di amici, di attività, inizia a tramutarsi in nostalgia, in una malinconia struggente ma anche più dolce, più morbida di prima. Tra un mese onorerò la sua memoria con il tributo migliore che potessi mai offrirle. Per mostrare a me stessa e ad altri che Lei non è dimenticata, che in ogni mio respiro è sempre presente, che ad ogni mio passo sento i suoi passi dietro di me. Che ancora si insinua nei miei sogni, quelli più dolci e quelli più macabri, che mi fanno sbarrare gli occhi nel buio. Che ogni battito del mio cuore sarebbe un battito diverso, se la mia vita non avesse incrociato la sua.

Ho ancora un paio di libri e alcuni saggi, scritti da Lei, che non ho letto. Non li leggerò, non a breve. E' come se non volessi arrivare ad "esaurire" ciò che mi resta di Lei. Finché non li leggo, so che ho ancora qualcosa di suo da scoprire. Qualche frase, qualche pensiero, qualcuna di quelle acute analisi per le quali si sapeva distinguere.
Un giorno mi disse che il suo romanzo preferito era La certosa di Parma, di Stendhal. Non credo che lo leggerò mai, per la stessa ragione. Per guardarlo in libreria, intatto, e pensare che c'è un pezzetto di Lei lì dentro, un pezzetto che ancora non conosco ed è pronto da scoprire, se e quando vorrò... un giorno...

Lei capiva sempre più di quanto volesse, Lei sapeva, sempre, più di quel che chiunque avrebbe saputo. Lei si offriva senza riserve, eppure a volte respingeva anche le intenzioni più gentili ma più spesso si rendeva così vulnerabile. Lei percepiva il tocco altrui dritto nel cuore. Lei disse "A volte il tocco assoluto va custodito, come i deserti che è necessario attraversare da soli". E alla fine, da sola attraversò il suo ultimo deserto, lasciandoci tutti quanti indietro a chiederci, in nome di Dio, perché.

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