domenica, agosto 06, 2006

La resa?

Non mi succedeva da tempo di trascorrere un periodo così intenso, e per certi versi pesante, da un punto di vista emozionale. Succede, per carità: ogni tanto, succede. E non si tratterebbe di nulla di particolare, se si limitasse a capitare e poi a svanire. Però, però. Quando invece fa suonare campanelli d’allarme e mette in mostra coincidenze che forse non sono tali, allora dà da pensare.

Insomma, riassumendo. Più o meno per tutto luglio una mia cara amica, che qui chiamerò Sandy, ha avuto dei guai di salute che mi hanno spinta a passare molto tempo con lei: non solo per umana preoccupazione, ma perché Sandy oltre che un’amica è anche una collega, sicché dovevamo lavorare insieme e il mio compito consisteva, in sostanza, nell’alleviare quanto più possibile la sua fatica. Perché naturalmente Sandy non è certo un’impiegata che può mettersi in malattia: è come me, una sbandata nell’anima, una che non timbra cartellini, una a cui piace sentirsi una scheggia impazzita. La domanda è: ma Sandy può ancora permetterselo? Ha una famiglia numerosa che conta su di lei; ha un marito che mal sopporta il suo continuo essere occupata, essere stressata, essere indaffarata (perché va bene lavorare e realizzarsi, ma non a scapito degli affetti); ha un figlio che le telefona ogni due per tre, perché vuole sapere dove diavolo finisce la sua mamma tutti i giorni, cosa la impegna tanto, perché torna sempre a casa tardi. Eppure, ogni anno, scattano certe dinamiche per cui Sandy si butta ancora nella mischia, non importa se sta bene o no, non importa se riesce a dormire o no, non importa se è a rischio collasso o no. Si butta e trascina con sé il mondo, il SUO mondo: famiglia, colleghi, amici. Che non sanno dirle di no, che si sentono in dovere di capirla, di aiutarla, di essere alla sua altezza: perché, se Sandy è capace di lavorare ventiquattr’ore al giorno senza pause, come posso io non essere in grado di fare lo stesso?

Ieri ho sentito per telefono un’altra amica, che qui chiamerò Carrie. Un’altra che ha scelto uno stile di vita libero, impegnativo, sempre sul filo del rasoio, in un ambiente difficile e competitivo. Una delle migliori, forse LA migliore. Ma è anche un ambiente con un ricambio generazionale spietato, un ambiente nel quale Carrie “funziona” sempre meno. Un ambiente che, in una settimana, le ha dato tante e tali batoste da causarle un abbattimento che mai da lei mi sarei aspettata. Perché Carrie è un uragano come Sandy, non molla mai, non si arrende mai, non ha mai pace. E invece stavolta è crollata.

Poi mi guardo io stessa, quella che non vuole timbrare il cartellino, né dipendere da nessuno, quella che sul lavoro vuole cento committenti diversi per non legarsi eternamente a nessuno dei cento, quella che si annoia al minimo cenno di routine, quella che recita con ardore la parte del cane sciolto, anzi spesso e volentieri anche la parte del burattinaio dietro le quinte: le persone giuste sanno dove sono e cosa faccio, le altre non importa (perché cercare i riflettori quando l’anonimato è tanto più comodo?). Ma anche quella che quest’estate, vuoi per stare dietro a Sandy, vuoi per una concomitanza di incarichi e impegni, ha abbassato la sua qualità della vita ad un livello non più accettabile e inizia solo ora a vedere la luce.

Allora, forse non sono coincidenze. Forse il tempo dei cani sciolti e delle schegge impazzite è finito? Forse gli anni e le circostanze ci stanno riportando a rientrare nel gregge, tutte noi che non abbiamo voluto accettare i binari della normalità? Quelle che non hanno lo stipendio fisso a fine mese, che un mese cantano vittoria e il mese dopo non sanno dove sbattere la testa, devono avviarsi verso la resa?
Non ho energie per cercare una risposta adesso…la domanda fa già abbastanza male da sola.

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